Eventualmente femminile – #la materia sensibile

PUBBLICHIAMO UN TESTO CHE SCATURISCE DALLE RIFLESSIONI NATE A PARTIRE DALLA MOSTRA EVENTUALMENTE FEMMINILE – #LA MATERIA SENSIBILE*, A CURA DI VERONICA MONTANINO E ANNA MARIA PANZERA, CHE HA VISTO LA PARTECIPAZIONE DEGLI ARTISTI BANKERI (FRANCESCO BANCHERI), EPVS (ELENA PANARELLA VIMERCATI SANSEVERINO), BRUNA ESPOSITO, IL COLLETTIVO CLAIRE FONTAINE, PIOTR HANZELEWICZ, MARIANNA MASCIOLINI, MAURIZIO SAVINI E CRISTINA RUSSO.

A una lettura veloce e distratta, il titolo di questa mostra, Eventualmente femminile – #la materia sensibile, potrebbe ricordare l’ennesima rassegna d’arte tesa a recuperare il gap valoriale evidentemente ancora esistente tra artisti e artiste, generato dal sistema culturale ed economico che circonda l’attività estetica e creativa – ormai da tempo immemore ma non da sempre1 tale da diventare con forza (almeno dal Novecento, con l’ingresso di narrazioni diverse rispetto alla tradizione storiografica accreditata) un casus studi, che comprende sia visioni socio-politiche di ampio respiro, sia le vicende di specifiche personalità.
Tuttavia, questa non è stata una mostra sulle artiste, né sulle donne nell’arte, né una rivendicazione di genere, benché essa si ponesse “naturalmente” all’interno della critica al logocentrismo patriarcale della cultura occidentale. Il suo titolo sposta l’aggettivo – femminile – al ruolo di sostantivo e, nel riprendere e sviluppare un progetto precedente,2 gli conferisce sempre più chiaramente le connotazioni di una riflessione ontologica e di una dichiarazione programmatica. La nostra intenzione, infatti, è quella di utilizzare il termine come strumento di ricerca, per verificare se esso, confrontato con il vocabolario e con la pratica attuale dell’arte, possa essere adatto a indicare la natura dell’arte stessa, della creatività e del processo dell’immaginazione.
Così problematizzato, il termine si potrebbe riferire a una modalità del pensiero, a una “ricettività” e “fertilità” della mente che produce un fatto tangibile, l’opera. Se poi si pensa al fatto che da secoli “maschile” o “virile” è stato l’aggettivo conferito alla migliore creatività3 (con tutte le implicazioni connesse, non solo in campo culturale), è lampante che noi proponiamo un altro punto di vista: da un lato riconduciamo la parola “femminile” alla sua origine iconica primaria, derivante dall’evidenza fisiologica del corpo di donna; dall’altro, puntiamo a evitare ogni deriva astratta o mistico-religiosa, anche quando essa metta in gioco presunti archetipi femminili e dee madri, convinte come siamo che nulla di spirituale s’imprima nella materia, ma tutto abbia una matrice biologica, anche il pensiero per immagini.4 Usiamo “femminile” per rendere intellegibile un concetto, un’idea di trasformabilità, di plasticità interna all’essere umano ed esteriorizzata nel processo artistico, in grado di ribaltare la visione predominante nel nostro mondo, tendenzialmente ancora impostato su parametri univoci di genere. La donna (intorno alla quale si giocano varie questioni evidentemente non risolte a livello culturale, sociale e politico), e l’uomo (detentore di un potere che, anche a detta della scienza, negli ultimi tempi mostra tutta la sua fallibilità), sono soggetti coinvolti in egual misura.
Il sottotitolo La materia sensibile, invece, puntualizza una coordinata essenziale sia dell’arte,5 sia del femminile – come vedremo a breve – e si pone come l’esordio di auspicabili futuri appuntamenti, tesi a definire sempre meglio il tema che ci sta a cuore.
Dunque, ricapitolando: poiché nel senso comune il vocabolo “femminile” indica da una parte un’entità docile, carezzevole e accudente, dall’altra un corpo sessualizzato, tentatore e seducente; poiché anche le filosofie femministe indagano il concetto di femminile e lo rifiutano come costruzione socialmente determinata,6 è lecito usare la parola strumentalmente, per esprimere una categoria o, ancora meglio, una qualità dell’essere umano trasversale ai generi e ai sessi, ed evidentemente proponente un’alternativa al pensiero corrente, che a sua volta usa il maschile come termometro di determinate e positive qualità? Esiste storicamente “il” femminile? E perché parlare di femminile dell’arte? Proveremo a illustrarlo, compatibilmente con la brevità di questo testo.
Una prima decisiva risposta ci viene dagli studi di Adriana Cavarero,7 che individua un principio femminile nella cosmogonia ellenica, espresso in molteplici miti, da Persefone a Pandora e altri, e ne studia le sofisticazioni cui lo sottopone la lente della filosofia antica (in particolare Platone).8 Sostanzialmente e negativamente identificato con la natura, tanto quanto il maschile è affrancamento da essa, è civiltà, ordine e politica, tale principio consiste nella forza generativa e auto-generativa, che – finché resti natura – è considerata cosa di scarso interesse. Recupera valore solo se rientra nell’ambito del λόγος (logos), mimando la produzione creativa per emanazione di pensiero astratto, tendente a costruire verità universali. La pretesa di ciò che è “assolutamente buono e bello”, ossia divino, si oppone e dissolve la creatività naturale, che partorisce nel tempo esistenze con un inizio e una fine. Quell’altro tipo di “creatività”, al contrario, che il filosofo riconosce esclusivamente al pensiero razionale, induce a vivere in funzione della morte (che, propria o degli altri, è comunque fondativa, perché permette il dissolvimento di quei corpi che impediscono la completa vita spirituale), e a cercare l’immutabile nel mondo cangiante: un’operazione, dice Cavarero, che «avviene solo fra maschi».9
Relegata fuori dalla città, la donna e la sua immagine (il femminile), si ritrovano insieme con l’artista e la sua pratica.10 Se l’una mantiene il suo legame con la fecondità della terra ed è considerata poco più che materia bruta, l’altro è un soggetto indisciplinato e destrutturante che, pur producendo diversi ordini d’immagini potenzialmente utili alla conoscenza, perché in relazione con la complessità del reale, è mediatore d’idee e contenuti non controllabili e ordinati: di conseguenza, è esecrabile e pericoloso.11
Con poche variazioni, tale apparato interpretativo e la connotazione negativa del femminile, rafforzata definitivamente da Aristotele,12 attraversa la cultura occidentale (tra propaggini ebraiche e cristiane), fino a Kant e Hegel, da un lato fondandosi su un linguaggio sessuato, in cui il soggetto maschile eleva se stesso a paradigma universale; dall’altro ponendo maschile e femminile come elementi distinti di una realtà perennemente duale e contrastiva, che oltre a maschile/femminile è divisa tra spirito/materia, razionale/irrazionale, bene/male, ecc. Arrivando all’epoca moderna, si può vedere come neppure il rifiuto opposto all’antropologia tradizionale da Heidegger (filosofo prediletto da tanto femminismo tedesco e non solo),13 neppure la sua moltiplicazione e storicizzazione dei paradigmi umani è sufficiente a risolvere il problema, a nostro parere, poiché il suo pensiero si radica in Platone e si snoda fino alla costruzione di una metafisica che, infine, non si distacca dalla sua origine, non ne decostruisce l’ordine simbolico e ripresenta la datità di un presunto ente preesistente alle cose, che realizza la realtà e l’opera con un processo simile all’incarnazione. Pertanto, come per Platone, anche nella filosofia heideggeriana l’artista deve ridursi a mero tramite di un senso “altro”, decontestualizzato e depersonalizzato.14
Lungo questo percorso, tuttavia, ci sono delle eccezioni su cui riflettere; in esse il quadrinomio femminile/natura/materia/artificio è rivisto senza ostilità, alla luce di un’antropologia meno auto-centrata e di una visione del mondo quale intero, in cui i viventi non si separano gerarchicamente. Per esempio, dalla metà del XII secolo, comincia l’opera di traduzione del corpus naturale aristotelico: per i filosofi medievali esso rappresenta un sapere da cui mutuare l’intera struttura della realtà fisica del mondo, utile a colmare il silenzio dei testi sacri, che si fermano al momento iniziale della Creazione. Questo è fondamentale, sia per introdurre lo studio della natura, sia per abbandonare progressivamente quella stessa impostazione, a favore di filosofi come Plotino, della tradizione ermetica e della scienza di derivazione araba. È Leonardo da Vinci a rompere ogni indugio e timidezza nei confronti di una nuova visione del mondo, dell’essere umano e dell’artista; per il grande toscano, l’universo è materia “abbandonata” al suo divenire: «[…] la natura essendo vaga e pigliando piacere del creare e fare continue vite e forme, perché cognosce che sono accrescimento della sua terrestre materia, è volonterosa e più presta col suo creare che il tempo col consumare».15 Il principio della terra/materia come continua mutabilità è tradotto pittoricamente da Leonardo attraverso il celebre “sfumato”, da considerarsi principio femminile persino più delle magnifiche figure muliebri presenti nei suoi dipinti.16
In continuità con Leonardo, la natura, la sua creatività, il potere generativo della materia, sono progetto di senso anche per Giordano Bruno (e insieme a lui, ma su un versante di più prudente conformismo, di Francesco Patrizi), il quale definirà l’ombra/materia una puerpera che «caccia le dimensioni [i corpi, NdA] come dal seno»17: «Da noi si chiama artefice interno, perché forma la materia e la figura da dentro, come da dentro del seme o radice manda ed esplica il stipe; da dentro il stipe caccia i rami; da dentro i rami le formate brance; da dentro queste ispiega le gemme; da dentro forma, figura, intesse, come di nervi, le frondi, gli fiori, gli frutti; e da dentro, a certi tempi, richiama gli suoi umori da le frondi e frutti alle brance, da le brance agli rami, dagli rami al stipe, dal stipe alla radice».18 Il principio femminile, nell’essere umano, è l’energia germinativa del pensiero per immagini.19
Pensare l’essere come divenire, trasformazione e perenne cambiamento; accettare che niente nasca dal nulla;20 concepire anche l’idea dal punto di vista di un’ecosofia che è naturale rovesciamento dell’antropocentrismo e conseguente riscoperta del femminile, proporre la de-soggettivazione per alcuni: è una linea di pensiero difficile da riassumere in poche linee, perché soprattutto in epoca contemporanea presenta una moltitudine di autori con cui confrontarsi. A parere di Tiziana Villani, essa parte da Nietzsche e, passando da pensatori come Deleuze e Guattari (ma aggiungerei Heidegger), fino a Donna Haraway, conduce a un divenire-donna, che implicherebbe apertura al molteplice.21 Tuttavia, tale variegato orientamento, pur mostrando punti di contatto con la nostra proposizione, in realtà si porta lontano da essa. Per esempio, a causa di una passione per le ibridazioni – a nostro parere, accettabili nel loro potenziale metaforico – che se da un lato induce alla trascendenza del dato biologico, crea nuovi legami, supera la logica binaria di arcaica memoria, dall’altro perde irrimediabilmente il concetto d’individuo e di differenza narrabile.22 Di conseguenza, anche d’intervento, in un reale assai lontano dalla “sana” fluttuazione delle molteplicità e della cui interpretazione le filosofie sopra citate dimenticano il segreto: il principio di contraddizione, che permette a donne e uomini di essere uguali e diversi.
Il salto epistemologico all’interno di queste teorie è costituito dal pensiero di Massimo Fagioli. Nel primo libro della sua trilogia teorica, nel descrivere il processo di realizzazione della vita psichica umana, egli pone il “femminile”, inteso esplicitamente come situazione affettiva,23 quale posizione da recuperare indifferentemente da uomini e donne, ponendo la creatività nella stessa realtà biologica umana. L’arte, che l’essere umano consegue e concretizza superata l’infanzia, meravigliosamente complicata da quelle abilità e quei processi che a essa appartengono, può allora dirsi e coincidere con il femminile giacché dà forma visibile a una realtà interiore in grado di farsi attraversare, di reagire e investire la realtà esterna di fantasia, creando infiniti “mondi” possibili: mondi della libertà, ma anche e soprattutto dell’identità.
Dunque, se tale è il femminile dell’arte, veniamo ora allo specifico sottotitolo della mostra, La materia sensibile.24 A cosa si allude accostando la qualità “sensibile” alla materia?
Non possiamo dimenticare che nella cultura classica e patriarcale la dicotomia tra spirito e materia assegna a quest’ultima la parte negativa, evocando connotazioni spregiative legate all’impurità, alla corporeità, al disfacimento, alla caducità e all’inerzia. Materia e mater, da cui il termine deriva, sono connesse alla generatività, all’origine di tutte le cose, al femminile,25 e rientrano evidentemente in questa medesima sfera.
D’altra parte, le parole sensibile/sensibilità, con le diverse sfumature che sono loro proprie,26 costituiscono una porta di passaggio dal materiale all’immateriale, e recano in sé la possibilità di concepire la materia – e la realtà probabilmente – in un altro modo. Sensibile indica, infatti, qualcosa di percettibile mediante i sensi perché concreto, dotato di fisicità e legato all’esperienza; in questo senso, il mondo sensibile si contrappone al mondo intellegibile, spirituale, morale, e sembrerebbe quindi incatenarci al cuore della dicotomia; ma la sua reattività, che induce un’alterazione nella natura dei componenti del “corpo” che riceve una sollecitazione esterna, indica la conservazione della traccia, il trattenere l’effetto di qualcosa, di qualche avvenimento. Il risentire di un accaduto e le variazioni conseguenti. La possibilità di accogliere le modificazioni di uno stato per effetto di un’azione/sollecitazione di un agente. Da notare, che quando quest’agente non interviene più – e non è più presente – si può comunque dedurre qualcosa dell’azione e dell’agente, pur non percependoli direttamente. Ecco che ci lasciamo alle spalle ciò che è strettamente materiale e percepibile con i cinque sensi, e ci dirigiamo verso un concetto più sfumato di sensibilità, prossimo all’intuizione, dal carattere radicalmente soggettivo, che consente l’avvertimento di uno stato fisico o psichico del tutto immateriale e non misurabile, ancorché concreto e reale.
Una volta detto ciò, è evidente che non può che essere così la materia dell’arte: un matrimonio tra materia e non materia, in cui sensibile è l’incontro e la fusione tra sostanza inerte e sensibilità umana. Infatti, diamo per scontato che per l’artista la materia sia sensibile: è uno dei motivi per cui diciamo che l’arte si pone strutturalmente come resistenza e rifiuto rispetto ai fondamenti della cultura logocentrica e patriarcale:27 la prassi artistica è lo scioglimento della suddetta coppia oppositiva e la riparazione della scissione. Non a caso i padri della cultura l’hanno definita pericolosa, come già accennato, da controllare ed eventualmente strumentalizzare, passando nel corso dei secoli dalla censura e dall’iconoclastia all’assimilazione-sussunzione.28
Il rapporto dell’artista con la materia è semplice e tutt’altro che conflittuale: l’artista ignora l’inerzia della materia, non prevede e non accetta la staticità. Vede della materia la sua porosità, malleabilità, trasformabilità, la sua sensibilità al cambiamento. La materia per l’artista è sensibile essenzialmente poiché manipolabile. È sensibile, perché sentita come capace di accogliere fisicamente l’intenzione dell’autore, cioè se stesso. È sensibile, perché disponibile a lasciarsi imprimere la dimensione mentale, emotiva, psichica e a rendersi memoria tangibile. Sensibile perché rende deducibile il pensiero dell’artista. È materia animata, come i visitatori della mostra si sono lasciati suggerire dall’opera di Bruna Esposito (indipendentemente dalle sue intenzioni), in cui delle scope si muovono lentamente e senza soluzione di continuità, alimentate da un meccanismo di batterie per automobili, girando su se stesse in una sorta di danza, che a seconda di chi e come guarda diventano fiaba, animismo, tribalismo e primitivismo, ciclicità della natura, raffinata poesia e concettualità criptica o magia e storie di streghe. È viva l’opera in mostra di Maurizio Savini, non tanto perché i pappagalli siano viventi ma perché contiene la vita, ovvero il pensiero dell’artista, che potremmo anche non conoscere, ma ugualmente sentiamo che ci accompagna per il tramite dei versi di questi uccelli colorati, che seguono il visitatore durante tutto il percorso espositivo, evocando la sensazione di una foresta o di un telaio, un «fondamentale trait d’union tra tutte le opere»,29 come ci ha detto qualcuno, anche e soprattutto mentre l’immagine visiva non c’è e si percepisce solo il suono. Così come le opere di Bankeri, benché si chiamino Reliquiari, non contengono l’idea della morte: richiamano invece l’idea di un acquario brulicante di vita e fanno pensare che nelle nature morte, “natura” e “morte” sono una contraddizione in termini nelle mani e nella mente degli artisti, probabilmente da sempre.
Tutto l’allestimento, comprensivo di uno specifico intervento ambientale, firmato da Sauro Radicchi, suggerisce la lettura di uno spazio che da abbandonato/disabitato diventa abitato e non solo occupato da opere.30 La stoffa potenzialmente fluttuante al minimo movimento e spostamento dell’aria è una carezza, ma anche un invito a osservare lo spazio, non occultato ma reso ancora più visibile nella trasparenza dell’installazione e dell’allestimento tutto, in cui le opere mai isolate vivono del forte dialogo tra loro e con un luogo né neutrale, né spettrale. Insomma la materia, di cui l’opera è fatta, è sensibile in quanto messaggera nei confronti di chiunque voglia confrontarsi con essa, attivando la propria sensibilità. Una sensibilità che ha a che fare con la relazione, con il rapporto possibile anche in assenza dell’autore, grazie a quella materia che ne fa le veci31. È una storia di attrazione, seduzione, piacere, desiderio e fascinazione dell’artista verso la vita e la materia, e del fruitore verso l’opera e il pensiero dell’artista, verso uno stimolo che può attivare il proprio pensiero.
Al di fuori di questo rapporto e di questa sensibilità, legata alla sensualità di tutte le componenti in gioco, l’arte e il suo riconoscimento rimangono un atto di fede e/o una questione verificabile consultando Artprice32 e i valori di mercato. È arte ciò che il sistema legittima, ma in tale ratifica non c’è possibilità alcuna di cogliere il senso di questi oggetti anomali. Forse, però, il fatto che ci sia un vasto pubblico per l’arte (migliaia di visitatori a ogni edizione della Biennale di Venezia), che i musei non siano ancora stati rottamati, che l’arte sia diffusa e considerata (magari non sempre dai nostri amministratori ma certamente nel pensiero comune), che non sia percepita come un alieno/extraterrestre, sono indicatori che la gente si rivolge probabilmente all’arte per cercare qualcosa oltre la realtà costituita e il quotidiano dato. Certo, il museo potrebbe essere paragonato – qualcuno lo fa – a una chiesa,33 con tanto di pellegrinaggio, ma l’artista che gioca a fare dio con la creazione artistica disinnesca naturalmente l’idea di dio fino a escluderla, e lega incontrovertibilmente la creatività all’umano. La dimensione “misterica” delle immagini rimane, se vogliamo, ma è da intendere come qualcosa che non si capisce fino in fondo, che rimane aperta e non definibile, sconosciuta, non classificabile razionalmente o mediante linguaggio articolato. Tale dimensione d’incertezza, però, rimane fatto umano appartenente certamente alla mente e alla sua complessità, e non certo al trascendente o al sovrannaturale, che peraltro sono sempre nostre invenzioni/creazioni. «Creare è dare forma al proprio destino» recita una frase attribuita ad Albert Camus nell’opera in mostra di EPVS.
Per concludere, il femminile dell’arte, inscindibile dalla materia che abbiamo definito sensibile, è il rifiuto del trascendente nel materializzare, nel far apparire, nel rendere un contenuto invisibile, visibile agli altri e a se stessi, in una dinamica che reagisce e rifiuta il non è, il non c’è, l’assenza cui contrappone l’essere e la presenza.34 È la nascita in opposizione alla morte in un processo in cui la materia non è alienabile, ma siamo piuttosto noi (autori e fruitori), che alieniamo noi stessi, e la nostra umanità, nella materia.

Gennaio 2022

*Eventualmente femminile – #la materia sensibile, Bankeri (Francesco Bancheri), EPVS (Elena Panarella Vimercati Sanseverino), Bruna Esposito, Claire Fontaine, Piotr Hanzelewicz, Marianna Masciolini, Maurizio Savini e Cristina Russo, a cura di Veronica Montanino e Anna Maria Panzera, Roma, Palazzo Capizucchi, 26 – 28 novembre 2021 (con aperture settimanali fino all’11 dicembre, Giornata Amaci del Contemporaneo).

1. Non è inutile ricordare che il mercato dell’arte è un fenomeno antico ma strettamente legato alla nascita del gusto per il collezionismo e dell’antiquariato. Dobbiamo pertanto ricondurre il suo esordio europeo al distacco dell’arte dalla dimensione collettiva e animistica delle origini, passando attraverso le prime committenze pubbliche (durante il periodo delle πόλεις/poleis, contingenza da non sottovalutare anche nell’ottica di un’analisi di genere), per arrivare all’età romana, quando la richiesta di statue provenienti dalla Grecia soddisfa i desideri di un pubblico di privati, appartenenti alle classi dominanti. In età moderna e contemporanea, l’approccio finanziario del vigente sistema economico, se da un lato ha continuato a ridurre le opere al ruolo di feticci, dall’altro ha indotto molti creatori a sfuggire in maniera sempre più ardita alle riduzioni tassonomiche, a rompere o alterare le filiere produttive, facendo divenire il mercato, un sistema sempre più sfuggente e complesso. Cfr. A. Zorloni, L’economia dell’arte contemporanea. Mercati, strategie e star system, Franco Angeli, Milano-Roma 2016.
2. Dal comunicato stampa dell’esposizione (redatto a cura di chi scrive): «l’idea della mostra si lega al progetto “Per una ricerca sulla specificità dell’arte [eventualmente] femminile”, condotto dalle medesime curatrici, che tra il 2016 e il 2018 ha visto coinvolte oltre sessanta artiste e quindici studiose in una serie d’incontri, convegni e giornate di studio, nel 2019 divenuti oggetto di una pubblicazione per i tipi Bordeaux (Roma), dal titolo FEMM[E] – Arte [eventualmente] femminile». In prima istanza, il progetto nasceva come esigenza di confronto con le artiste romane, in particolare gravitanti intorno all’esperienza del MAAM Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz Città Meticcia, e coinvolgeva anche le studiose più attente agli studi di genere. Allora, l’attitudine conoscitiva, relazionale, politica, prevaleva e avvolgeva il “femminile” di un alone ipotetico, fino a quando esso non è venuto a configurarsi come una “qualità dell’essere”, culturalmente fondata, su cui imperniare la ricerca sulla dimensione creativa dell’artista, come cercheremo qui di spiegare.
Cfr. anche C. Biasini Selvaggi, Eventualmente Femminile: intervista a Veronica Montanino e Anna Maria Panzera, in “Exibart”, 26 novembre 2021, https://www.exibart.com/mostre/eventualmente-femminile-intervista-a-veronica-montanino-e-anna-maria-panzera-mostra-roma/
3. Alcuni esempi: Cesare Malvasia, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi, vol.II, Bologna 1678, p.454: «[…] ebbe del virile e del grande», a proposito di Elisabetta Sirani. Paul Leroi, Salon de 1886, in “L’Art”, 41, 1886, p.67: «Questa giovane donna appena maggiorenne possiede un disegno virile […]», a proposito di Camille Claudel. Mario Tinti, La mostra degli artisti laziali, in “Il resto del Carlino”, 26 aprile 1929: «la pittura vuol farla da uomo […]», a proposito di Leonetta Cecchi Pieraccini. Anna Franchi, Donne Artiste, in “Emporium”, XLIX, n.294, p.325: «Ma poi vi sono anche altre donne artiste […] dopo le pochissime realmente grandi per natura virile o per rara eccezione […]», generalmente parlando delle artiste.
4. A questo riguardo, si veda la ricerca e la teoria dello psichiatra Massimo Fagioli, espressa nei suoi testi fondamentali (la trilogia della teoria della nascita: Istinto di morte e conoscenza, 1970; La marionetta e il burattino, 1974; Teoria della nascita e castrazione umana, 1974), e il cosiddetto “quarto libro”, Bambino donna e trasformazione dell’uomo, 1979, proposti tutti in una nuova edizione tra il 2010 e il 2013 dall’Asino d’Oro Edizioni. A questi si affianca l’edizione delle lezioni tenute all’Università G.D’Annunzio di Chieti-Pescara (2002-2012) e altro ancora.
5. Sensibile è la materia, giacché dotata di una propria ricettività, che le permette di mostrarsi in molteplici forme differenti; lo è doppiamente, perché rende “sensibile”, in altre parole percepibile, l’idea che l’artista vi trasferisce. Il punto sarà sviluppato nella seconda parte del testo.
6. Vastissima la bibliografia. Ricordiamo solo a titolo indicativo S.de Beauvoir, La femminilità, una trappola. Scritti inediti 1927-1982, L’Orma editore, Roma 2021; J.Butler, La disfatta del genere, Meltemi, Roma 2006.
7. A. Cavarero, Il femminile negato. La radice greca della violenza occidentale, Pazzini Editore, Villa Verrucchio 2007.
8. Alcune opere di riferimento del filosofo sono La Repubblica (in particolare il libro X), il Sofista e un dialogo giovanile intitolato Ione.
9. Ivi, pp.61. Leggi anche ivi, p.64: «Questa è un’operazione strategica di grande importanza: da una parte il generare […] viene dislocato nel non essenziale e depotenziato nella sua significazione positiva; dall’altra, tutto l’immaginario del generare […] viene rubato dalla filosofia e ne diventa il lessico stesso».
10. Cfr. V. Montanino, “Perché l’arte è sempre femminile?”, in G.de Finis (a cura di) Face to Face. The maieutic machine, Bordeaux Edizioni, Roma 2017, pp. 282-85.
11. Cfr. R. Petrilli, Platone, la mímēsis e la crisi dell’arte, in “www.unclosed.eu – arte e oltre/art and beyond – rivista trimestrale di arte contemporanea”, n.27, 20 luglio 2020, https://www.unclosed.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=315:platone-la-mimesis-e-la-crisi-dell-arte&catid=9:sestante-esplorazioni

Sulla pericolosità del femminile è interessante il nesso con le streghe, cui è attribuito il potere – riconosciuto anche all’arte, indubbiamente – di influenzare eventi e persone.
12. Cfr. Aristotele, Opere, 4, Parti degli animali, Riproduzione degli animali, G.Laterza & Figli, Bari-Roma 2019.
13. M.Heidegger (1927), Essere e Tempo, Longanesi, Milano 1976.
14. Cfr. la nota critica di Mayer Shapiro (“The Still Life as Personal Object — A Note on Heidegger and Van Gogh”, in M.L. Simmel, The Reach of Mind: Essays in Memory of Kurt Goldstein, Springer Publishing Company, New York 1968, pp.203-209), a Martin Heidegger (L’origine dell’opera d’arte, a cura di G.Zaccaria e I.De Gennaro, Marinotti, Milano 2000; ed. or. 1931-32).
15. Leonardo da Vinci nella raccolta a cura di J.P. Richter, The Notebooks of Leonardo da Vinci, XIX: Philosophical Maxims. Morals. Polemics and Speculations. 1219, London 1883, in G.De Lorenzo, Leonardo da Vinci e la geologia, N.Zanichelli Editore, Bologna 1920, p.8.
16. Cfr. A. M. Panzera, “Leonardo e il ‘Leonardo’ di Freud”, in Crisi del freudismo e prospettive della scienza dell’uomo, atti dell’omonimo convegno a cura di L.A. Armando, Napoli 8-9 ottobre 1999, Nuove Edizioni Romane, Roma 2000, pp.235-241.
17. G. Bruno, De la causa, principio et uno, a cura di G.Aquilecchia, Einaudi, Torino 1973, p.18.
18. Ivi, p.63. Cfr. anche A.M. Panzera, «La materia (e l’ombra) femina vien detta». Il naturalismo caravaggesco tra pittura e filosofia, tra realtà e metafora femminile, relazione al convegno “Da Artemisia alle altre. Le donne del Caravaggio”, a cura di R.Lapucci e J.Adams, Monte S.Maria in Tiberina, 2 ottobre 2021 (atti in corso di pubblicazione).
19. Cfr. A. M. Panzera, “Eventualmente Femminile”, in V.Montanino, A.M. Panzera (a cura di), Femm[E] – Arte [eventualmente] femminile, Bordeaux, Roma 2019, pp.23-33.
20. Cfr. V. Montanino, “Oltre il genere. Il femminile dell’arte”, in V.Montanino, A.M. Panzera (a cura di), Femm[E] – Arte [eventualmente] femminile, Bordeaux, Roma 2019, pp.13-22.
21. T. Villani, Il divenire-donna, a partire da Deleuze e Guattari, in “Effimera”, 27 marzo 2019, http://effimera.org/divenire-donna-partire-deleuze-guattari-tiziana-villani/

22. A. Cavarero, “Il pensiero femminista. Un approccio teoretico”, in A.Cavarero, F.Restaino, Le filosofie femministe. Due secoli di battaglie teoriche e pratiche, Bruno Mondadori, Milano 2002, p.78.
23. M. Fagioli, Istinto di morte e conoscenza, L’Asino d’oro Edizioni, Roma 201714, pp.94-95.
24. Per materia intendendo tutto ciò che è percettibile e verso cui si rivolgono gli artisti per realizzare un’opera, dal suono al corpo, dalla pietra alla luce.
25. L. Re, “Mater-Materia. Il potere materno e l’avanguardia futurista”, in M.Gioni, R.Tenconi (a cura di), catalogo della mostra La Grande Madre, Palazzo Reale, Milano, 26 agosto – 15 novembre 2015, Skira, Ginevra-Milano 2015, pp.49-51.
26. Cfr. Treccani, vocabolario online, alle voci “sensibilità”, “sensibile”.
27. Cfr. V. Montanino, “Prassi artistica e prassi politica”, in G.de Finis (a cura di), Future Lascaux. Il museo abitato di Metropoliz, Bordeaux Edizioni, Roma 2022 (in corso di pubblicazione). Cfr. anche J.Rancière, La partizione del sensibile. Estetica e politica, DeriveApprodi, Roma 2016, p. 10.
28. Cfr. E. Wind, Arte e anarchia, Adelphi, Milano 1997, aletta anteriore: «Nella Repubblica di Platone l’arte e gli artisti sono considerati un pericolo, una minaccia per l’ordine, e vengono sottoposti a censura […] forse Platone sapeva meglio di noi che cos’è l’arte, e giustamente la temeva, perché i poteri dell’immaginazione sono quanto di più vicino, nell’uomo, a un fuoco trasformatore o distruttivo».
29. Quelle riportate sono alcune impressioni espresse dai visitatori stessi, che commentavano la visita.
30. I locali di Palazzo Capizucchi che hanno ospitato la mostra, occupati dal Centro Culturale Francese in Roma e dall’Università Roma Tre fino al 2019, sono attualmente dismessi.
31. J. Rancière, Lo spettatore emancipato, DeriveApprodi, Roma 2018.
32. Leader mondiale delle banche dati sulle quotazioni e gli indici dell’arte.
33. Cfr. D. Buren, Funzione del Museo, testo originale inglese a cura del Museo d’Arte Moderna di Oxford, poi tradotto e pubblicato a cura della Galleria Banco di Brescia in occasione della sua esposizione, dicembre 1974; B.O’Doherty, Inside the White Cube. L’ideologia dello spazio espositivo, Johan & Levi editore, Monza 2012.
34. M. Fagioli, La marionetta e il burattino, Premessa alla quinta edizione, L’Asino d’oro Edizioni, Roma 2011, pp.303 e 318.

Veronica Montanino e Anna Maria Panzera
Veronica Montanino e Anna Maria Panzera