Sul fondo, una sottile leggerezza. Luca Vitone e Romanistan

CON ROMANISTAN LUCA VITONE HA DECISO DI RIPERCORRERE A RITROSO IL CAMMINO CONDOTTO DAI ROM E DAI SINTI DALL’INDIA VERSO L’ITALIA, DI RIATTRAVERSARNE E RIVIVERNE I PAESAGGI, I SUONI, LE LUCI, IL CALDO, LE TENDE, E CAPIRE IN QUALI LUOGHI E IN QUALI MODI, NEL CORSO DEI SECOLI, ESSI ABBIANO VISSUTO ESPERIENZE DI INTEGRAZIONE O DI ISOLAMENTO, E QUINDI ATTRAVERSO QUALI COMMISTIONI SI SIA FORMATA LA CULTURA ROMANÍ, VERIFICANDOLO A PARTIRE DA UNA RIFLESSIONE SULLA MUSICA E SULLA LINGUA. È VOLUTO ANDARE A COMPRENDERE COME, UNA VOLTA SCONFITTO L’ANALFABETISMO, QUESTA GENTE “SENZA PATRIA, SENZA ESERCITO E SENZA CONFINI” ABBIA DECISO OGGI DI RACCONTARSI, COME ABBIA SCELTO LE PROPRIE RAPPRESENTANZE POLITICHE, QUALI SIANO LE ENERGIE NUOVE CHE STA ESPRIMENDO.

 

Copertina rossa, testo color oro. Quarta di copertina rossa anch’essa. Al centro una ruota stilizzata, un simbolo familiare per chi conosce il lavoro di Luca Vitone. Sempre color oro. Intuisci che quei colori ti condurranno da qualche parte.
Dopo le prime pagine, una sorpresa, nuovamente dorata: una mappa ripiegata in sei facciate. Nella scarsa concessione agli elementi visivi, avverti il suo appeal sofisticato; ci trovi un po’ di vintage, un po’ di tradizione cartografica, un po’ di illustrazione orientale, e anche una sottile leggerezza (la stessa che proverai addentrandoti via via nella lettura). Eliminata qualsiasi informazione superflua, compresi i nomi delle nazioni (la ragione c’è, si capirà più avanti), campeggia sulla trama sottile dei confini un itinerario rosso che congiunge Bologna a Chandigarh. L’artista genovese ha compiuto questo viaggio tra maggio e giugno 2019 insieme a un piccolo gruppo di sodali/amici/accompagnatori/autisti.
L’oggetto suggerisce effettivamente l’idea di un notebook, di un diario, un taccuino, nella più affascinante e antica tradizione dei viaggiatori, e il titolo, Romanistan, esprime la direzione del pensiero, della narrazione, del movimento. Si tratta infatti del diario di bordo di un lungo percorso compiuto in macchina dentro un tempo piuttosto breve, 43 giorni per 12.000 km. Poche improvvisazioni, tutto progettato a tavolino, anche nella distribuzione dei pesi. Pesi politici, intendo, e pesi culturali, nel voler orchestrare attentamente gli incontri, le interviste, le registrazioni musicali.
Il viaggio in India, solitario o in gruppo, rimanda per certi versi a un’altra generazione, a un altro tempo, ci parla degli anni Settanta. Ma allora la spinta era più esplicitamente esistenziale, esprimeva un gesto rispetto al sociale e contemporaneamente la necessità di una ricerca da compiere a livello individuale, verso l’origine. Qui, almeno in prima istanza, l’obiettivo è un altro, sicuramente più confacente alla generazione emersa negli anni Novanta, che ha vissuto il passaggio non repentino ma pervasivo verso la globalizzazione, e che quindi, nelle coscienze più sensibili, ha risposto con cammini politici caricati di un esplicito senso di disappartenenza rispetto alla devastazione dei valori sui quali si era formata, valori che aveva ereditato fondamentalmente dalla generazione della contestazione… In questo sconcertante passaggio verso un capitalismo totalitario, credo che Luca Vitone si sia ancorato molto presto a due grandi narrazioni, il pensiero anarchico e la cultura nomadica rom. Ce lo conferma proprio la ruota che usa da anni come timbro-firma.
Ma torniamo a Romanistan, vincitore dell’Italian Council 2018, un progetto promosso dal Centro Pecci che oltre al libro ha compreso un film e una mostra. Vitone ha deciso di ripercorrere a ritroso il cammino condotto dai rom e dai sinti dall’India verso l’Italia, di riattraversarne e riviverne i paesaggi, i suoni, le luci, il caldo, le tende, e capire in quali luoghi e in quali modi, nel corso dei secoli, essi abbiano vissuto esperienze di integrazione o di isolamento, e quindi attraverso quali commistioni si sia formata la cultura romaní, verificandolo a partire da una riflessione sulla musica e sulla lingua. È voluto andare a comprendere come, una volta sconfitto l’analfabetismo, questa gente “senza patria, senza esercito e senza confini” abbia deciso oggi di raccontarsi, come abbia scelto le proprie rappresentanze politiche, quali siano le energie nuove che sta esprimendo, quale il dibattito in corso, e in quale relazione con quello di altre parti del mondo. Di fondo gli interessava capire quale è il sogno dei rom, e così, insieme ai suoi compagni di viaggio – due, in particolare, molto importanti per lo sviluppo del progetto, il musicologo e musicista rom Santino Spinelli, che ha svolto il ruolo di mediatore nell’area balcanica e ha permesso l’approfondimento della ricerca musicale, e l’amico di sempre, dagli anni del Link e poi più recentemente di Xing, Daniele Gasparinetti (Caspar), che ha rappresentato la sensibile voce narrante di questa avventura – e attraverso una serie di incontri con alcuni rappresentanti politici e culturali della realtà rom, ha indagato in presa diretta la questione delicata del desiderio di una propria terra, di un proprio stato.
E lo ha fatto con una curiosità vivida, la stessa che ha sempre espresso per lo spirito di quel popolo, al quale ha dedicato ricerche, progetti, mostre fin dagli inizi del suo percorso dentro l’arte. Senza, voglio dire, quel retrogusto da falsa coscienza borghese che si avverte in tante riflessioni di intellettuali e artisti sulla condizione dei popoli nomadi, o comunque migranti.
Nel corso di quasi trent’anni di lavoro, Luca Vitone ci ha tutti ripetutamente coinvolti in questioni a lui molto care, e tra queste sicuramente hanno un posto speciale il mondo rom e la musica (vissuta quest’ultima come ambito di studio, di esperienza, come dispositivo metaforico, come elemento memoriale). Ma riflettendo in modo circostanziato sulle caratteristiche di questo libro pubblicato da Humboldt Books, e senza potermi addentrare nelle questioni complesse che l’intero progetto ha implicato e sulle quali, ne sono certa, Vitone continuerà a lavorare per molto tempo, si possono evidenziare anche altri aspetti tematico-procedurali che potremmo definire ricorsivi. A partire proprio dal tema del viaggio, che nel suo caso ha assunto nel corso del tempo un’estensione semantica vasta, che intreccia pensiero politico, indagine storica, scavo antropologico ma anche, probabilmente, un preciso risvolto esistenziale legato alla scelta di essere artista in un certo modo, studioso e fuggitivo, capillarmente presente ma fondamentalmente altrove. Il suo è sempre un viaggio/deriva, e da ligure sa molto bene di cosa si tratta. E d’altronde il pensiero situazionista gli ha anche insegnato a ricercare quella creatività diffusa che unica può dare un senso nuovo alle organizzazioni sociali. Quell’insegnamento brilla ancora nella costante ricerca della creatività che Luca conduce e valorizza nella cucina, nella musica popolare, in certe tradizioni…
Ma andiamo avanti. Tra le forme ricorsive inserirei l’adozione della forma-diario. Una scansione spazio-temporale delle esperienze osservata e restituita con attenzione corporea, lenticolare, ma di contro anche sempre raffreddata da un filtro concettuale, catalogatorio. E ancora, l’idea della mappa, per lo più senza coordinate; la convivialità, che in quanto effimera va costantemente riprogettata, ampliata; la condizione solidale, anelata, interrogata e posta davanti a delle sfide.
Ecco, questo viaggio mi pare una di quelle sfide, e mi pare una ricca sintesi delle componenti più intrinseche alla sensibilità e alla visione politica di Vitone.
Dimenticavo, le cartoline. Ne ho ricevute diverse in questi lunghi anni. Una felice strategia di gestione dell’assenza/presenza, della condivisione di uno spostamento fisico che corrisponde a un grumo di nuovi pensieri, nuovi interessi. La condivisione simbolica di un orizzonte visivo ed esperienziale. Sfogliando Romanistan capisci che la cartolina si è radicalizzata.
La studiatissima sequenza di immagini che sostanzia il libro potrebbe apparire, a uno sguardo distratto, un’infilata di fotografie documentative o still da video che sempre più spesso appartengono ormai al fare accademico.
Ma basta fermarsi qualche attimo in più a scorrere le immagini per scorgervi molto altro. Credo si tratti di un vero poema visivo dedicato al paesaggio. Un poema che racconta di una sorta di ricongiungimento con una Natura che è stata scenario di una Storia (e di tante storie). E poi rimane la questione dell’origine…
Il libro è dunque la documentazione di un viaggio di ricerca e insieme l’esplicazione di una visione politica. Ma è anche molto più intimo, più partecipato, per quanto scarnificato. È limpido, cristallino. Custodisce altro.
E il fatto che il viaggio ufficialmente termini a Chandigarh, la città progettata da Le Corbusier, incompiuta, incompresa ma di fatto ormai anche ridefinita, potrebbe aprire un nuovo capitolo di riflessioni, magari schivando certe interpretazioni politicamente troppo corrette.

Arte e Critica, n. 95, autunno – inverno 2020, pp. 110-111.

[Luca Vitone. Romanistan, testi di Daniele Gasparinetti/Caspar e Cristiana Perrella, Humboldt Books, 2019]

 

 

Daniela Bigi
Daniela Bigi