Carola Bonfili. Uno specchio per scovare il secondo ordine della realtà

C’è un momento nel film Solaris di Andrej Tarkovskij in cui il Dottor Snaut, in orbita sullo sconosciuto pianeta che ha il potere di dare consistenza corporea ai ricordi e alle immagini della mente, dice: «La scienza? Sciocchezze. In questa situazione la mediocrità e il genio sono ugualmente inutili! Noi non vogliamo affatto conquistare il cosmo. Noi vogliamo allargare la terra alle sue dimensioni. Non abbiamo bisogno di altri mondi: abbiamo bisogno di uno specchio». La sua lucida esasperazione anticipa una riflessione che oggi, alla luce della diffusione dell’intelligenza artificiale e delle vibranti innovazioni tecnologiche, ci persuade a interrogare il ruolo della scienza e della tecnica; a pensarle come strumenti, espedienti, specchi per osservare ciò che di più profondo si nasconde nel mistero che è l’essere umano.
Con un procedimento simile, Carola Bonfili nel suo lavoro estrapola stimoli dal mondo esterno e, rielaborandoli con linguaggi ogni volta diversi, dà corpo a visioni che vivono in equilibrio tra due dimensioni stilisticamente contrapposte: reale e virtuale, fisica e mentale. Questo processo di incorporazione ha attraversato diverse evoluzioni nel corso della sua ricerca, confluendo nel suo ultimo progetto, realizzato grazie al sostegno dell’Italian Council XI e promosso da Fondazione smART – polo per l’arte. Second Order Reality (2023) è un’opera stratificata volta alla costruzione di un videogioco, che unisce video, modellazione digitale, Virtual Reality, scultura e animazione e che parte dal romanzo La tentazione di Sant’Antonio di Gustave Flaubert. Quest’ultimo, lo spunto letterario che spesso innesca il processo immaginativo dell’artista, è un passaggio chiave per la comprensione della pratica di Bonfili, la quale, già dalla lettura del delirio mistico di cui fa esperienza il santo e degli oggetti che incontra nella capanna, concepisce l’ambientazione virtuale e gli elementi che costituiscono The Stone Monkey secondo una struttura narrativa che risale alle fiabe e ai racconti di Vladimir Propp. Interessata infatti all’architettura favolistica, che richiede al protagonista il superamento di una serie di ostacoli per la risoluzione di un conflitto originario, l’artista costruisce la storia della scimmietta M’ling che, trovandosi inspiegabilmente in parte pietrificata, si immette in un viaggio iniziatico che si risolve, nel finale, con l’accettazione di un’avvenuta trasformazione. Nella mostra ad Aksioma – Institute for Contemporary Art a Lubiana, a cura di Daniela Cotimbo e Ilaria Gianni, il progetto si completa nelle sue varie declinazioni.1 Oltre al suddetto video e all’installazione interattiva VR Level 1, Illusions that we should have, but don’t, alcuni dei personaggi del videogioco in forma scultorea si uniscono alla serie di sfere The Stone Monkey PBR e a The Multicrane, che evidenziano l’aspetto artigianale sottostante la creazione digitale, recuperando, rispettivamente, i render fisici dei campioni di texture e le modalità con cui venivano realizzate le prime animazioni Disney. 

 

Carola Bonfili, Second Order Reality, veduta della mostra, Aksioma - Institute for Contemporary Art, Lubiana, 2023; M’ling and Tanky Pear, 2023, stampa 3D, PLA, resina poliestere, pittura acrilica, cm 110x50x50; Acoustic Mirrors, resina poliestere, pittura acrilica, cemento, cristalli di sale, cm 60x60x25; Woods, cemento, dimensioni variabili. Foto Domen Pal / Aksioma. Courtesy Fondazione MAXXI, Roma
Carola Bonfili, Second Order Reality, veduta della mostra, Aksioma – Institute for Contemporary Art, Lubiana, 2023; M’ling and Tanky Pear, 2023, stampa 3D, PLA, resina poliestere, pittura acrilica, cm 110x50x50; Acoustic Mirrors, resina poliestere, pittura acrilica, cemento, cristalli di sale, cm 60x60x25; Woods, cemento, dimensioni variabili. Foto Domen Pal / Aksioma. Courtesy Fondazione MAXXI, Roma

 

Risulta evidente in quest’opera come la realtà virtuale non faccia altro che amplificare il perturbante, slittamenti percettivi e a tratti allucinatori tra piano reale e piano fantastico, di cui l’essere umano fa esperienza abitualmente e che sono connaturati nel pensiero magico infantile. Secondo Bruno Munari, la creatività è legata al gioco nel senso che il gioco opera nella memoria instaurando delle relazioni. Per questo i giochi non dovrebbero mai essere troppo finiti, perché solo il non finito stimola la fantasia del bambino. Ed è sulla relazione tra incompiuto e memoria che si innesta The infinite end of Franz Kafka’s Das Schloss (2018), un lavoro iniziato nel 2017 con 3412 Kafka e che indaga in maniera analogica i meccanismi mnemonici e la relativa attitudine a riscrivere, eliminare, rielaborare i ricordi e le immagini. Ispirandosi all’installazione The Happy End of Franz Kafka’s Amerika di Martin Kippenberger così come a Educational Complex di Mike Kelley, entrambi accomunati dal tentativo di ricostruire storie o memorie claudicanti attraverso l’arte, Bonfili immagina la conclusione del romanzo mai completato di Kafka, Il Castello, affidandola alla realizzazione di una scultura in cemento, fatta di labirinti e mura intricate, esperibili anche in VR tramite una scansione del modello in scala.
Se precedentemente all’impiego della computer grafica lo sguardo si sofferma sul paesaggio e sull’architettura, nella creazione di mondi virtuali nasce nell’artista l’esigenza di un personaggio guida, che in un certo senso va a posizionarsi nel ruolo della trottola di Inception, quell’elemento che ci tiene aggrappati al reale e allo stesso tempo ci trascina nel sogno. È presente in Destabilizing a Young Ground (2019), ma ancora di più in The Flute-Singing (2021), dove una creatura mitologica si muove in uno scenario sospeso e un voice over generato da un programma di AI ideato per giochi di ruolo smembra le Metamorfosi di Ovidio; mentre in The Stone Monkey (2023) la simpatica pera con appesa una tanica assume la figura del famiglio della favola. Questa fascinazione per la trasduzione delle forme può intervenire anche in negativo personificando un’assenza, come accade in Polia (2019), in cui l’oggetto erotico di Hypnerotomachia Poliphili (1499) a cui anela Polifilo si reincarna in tre divinità femminili bifronte. In questo caso, in cui le ambientazioni sono riprese dal vivo, la dislocazione tra piano reale e onirico è provocata dall’inserimento di dettagli che distraggono la ragione dalla dolce sospensione indotta dalla sensualità dei movimenti e dal surrealismo della messa in scena, mentre il suono scandaglia l’inconscio a ritmi regolari e tellurici. 
In fondo, la ricerca di Carola Bonfili vive in un continuo rispecchiamento, tra l’affermazione di un’identità, di una tesi, e il ribaltamento nell’immagine, nell’antitesi. Un gioco di specchi, che in termini lacaniani porterebbe alla costruzione dell’io, a condizione che sia un processo mai statico e non necessariamente lineare. Ripercorrendo a ritroso la sua investigazione, osserviamo lo spogliarsi del linguaggio in componenti più elementari, come la riproduzione di un albero in cemento in Multiverse Tree (2011) e l’installazione multisensoriale If (2011). Se il primo costituisce un momento, il confronto con l’altro, ma anche l’interrogazione del tempo e della sopravvivenza dell’immagine rispetto al dato originario, nel secondo l’immagine scompare per lasciare spazio al buio e al corpo di esplorare libero dalla dittatura della vista. D’altronde non è una sensazione tanto diversa dall’esperienza di indossare un casco virtuale. La percezione di vivere un corpo esterno, su cui insiste in particolar modo L’osservatore nascosto (2022, oggi nella collezione del MAXXI di Roma) evocando l’ipnosi, trova infatti nella tecnica a disposizione l’impianto ideale per sperimentare la dissociazione tra materia e mente come fonte inesauribile di conoscenza. Non è un caso se in tutti i video di Bonfili la presenza del suono sia così determinante: effimero, incorporeo, immediato – e dietro le quinte, estremamente elaborato – il suono rappresenta un dispositivo narrativo, una sorta di deus ex machina invisibile. In Second Order Reality, con il progetto sonoro creato da Francesco D’Abbraccio, segna i momenti decisivi della storia e ne induce il cambiamento. L’artista mette in atto un meccanismo maieutico, che estrae dal reale una trama – complice il suo interesse per la letteratura e il fumetto – riconducendo la finzione a qualcosa di intimamente vero e umano. Ecco che ritorna lo specchio: l’opera fornisce lo strumento, mentre ciò che riflette muta in base a ciò che ha di fronte. Forse è questo il secondo ordine della realtà.

Arte e Critica, n. 99, inverno – primavera 2023/2024, pp. 57-59.

1. Carola Bonfili, Second Order Reality, a cura di Daniela Cotimbo e Ilaria Gianni, Aksioma – Institute for Contemporary Art, Project Space, Lubiana, 18.01.2023 – 18.02.2024.

Caterina Taurelli Salimbeni
Caterina Taurelli Salimbeni