Per Alì e Ghiero

“Questo libro prende spunto e slancio da quella mia breve permanenza in Afghanistan, dai vagabondaggi in Land Rover nei monti e nei deserti tra Kabul, Bamyan e Band-e Amir. […] Questa mia terza fatica letteraria è dunque per A e B, mio padre, per Boetti che lavorava e per Alighiero che faceva casini (…)”. 1
Esplorando con tutta la foga possibile i sei sensi che A e B, insieme con Annemarie, gli hanno insegnato a conoscere, liberare, amare e utilizzare – il sesto dei sensi è il pensiero, lo ricordava proprio Annemarie Sauzeau parlando di Alighiero –, Matteo Boetti decide di fare un azzardo e tributa al celebre padre un omaggio appassionato costruito come un viaggio di conoscenza, sotto il segno della poesia.
Nel libro c’è tutto Matteo, gallerista, poeta, allevatore di cavalli (cowboy), potatore, produttore di olio, prima ancora musicista, padre di tre figli, ma soprattutto figlio, di un artista gigantesco, scomparso prematuramente, e di una studiosa, saggista, femminista, curatrice, sposa e compagna d’artista. Ma nel libro c’è anche tutto Boetti, in un ordine e disordine, in una fisicità del pensiero, dei gesti, delle intuizioni, delle contraddizioni, che solo chi lo ha conosciuto intimamente, e poi studiato, può restituire con il ritmo e l’angolazione dell’autenticità.
Così, in questa storia in versi che parte da un indimenticabile viaggio a Kabul di un bambino di sette anni al seguito di un padre che lavora-medita-fuma, vengono toccati tutti i registri e tutti i sentimenti, stretti in un alveo cui fanno da sponda la verità cristallina delle citazioni da poeti, artisti e filosofi – uno studiatissimo percorso nel percorso –, e un album di foto strettamente personale, dove si confondono il pubblico e il privato, dove le opere di Boetti convivono con quelle degli autori che egli ha più amato ma anche con quelle che raccontano la storia del Matteo-gallerista – prima con Autori Messa, poi con Autori Cambi e Adele C Studio, poi con Bibo’s Place, ora con CollAge.
I continui rimandi a un quotidiano familiare e rituale, visionario, puntuale e lacerato, definiscono via via l’accessibilità e l’inaccessibilità di Alighiero e Boetti, in un flusso in cui compaiono a intermittenza le sequenze dei numeri, certe misteriose ricorrenze, i poeti letti, i musicisti frequentati, l’incommensurabile Oriente, gli avi imitati, le cose detestate, quelle collezionate, gli amici artisti, il vuoto, la frugalità, il rigore, il perdersi. “Boetti è più numerico, Alighiero malleabile”.2

 

Alighiero Boetti e Matteo Boetti a Kabul, 1977
Alighiero Boetti e Matteo Boetti a Kabul, 1977


E poi tutto il resto, leggiadro e triviale, tenero e matematico, esoterico e ventoso.
Nelle tante pagine del libro ci sono alcuni versi perfetti. Scorrendo tra le righe si affolla un popolo di immagini potenti. Talvolta si inciampa in qualche poesia sbagliata, in qualche ridondanza compiaciuta, ma questo non fa che rendere il tutto molto vero. “Non cerco la gloria ma l’antidoto alle scorie”annota da qualche parte l’autore.
E nel condividere con i suoi lettori gli antidoti imparati da Boetti (A e B, Alì Ghiero, Alì e Ghiero, El Mansur e molto ancora), antidoti che nel tempo ha dovuto rovesciare, recuperare, di cui si è impadronito, che ha trasformato e ampliato, Matteo sceglie in realtà di condividere il paesaggio mentale – ludico lucido alchemico e malinconico – di una intera generazione di artisti e poeti ancora non del tutto decifrabile, e forse pure irraggiungibile.
Al contempo, non si sottrae all’affondo inevitabile nella voragine in cui si dimena insieme alla sua generazione, quella emersa negli anni Novanta, che ha ereditato un bagaglio di valori irriducibili al presente, inconciliabili con la sostanza stessa del presente, e che non può far altro, quindi, che esprimere una crisi.
Tra le tante righe in versi, i piani del discorso e le generazioni si intrecciano e si specchiano, toccano questioni tuttora aperte, probabilmente irrisolvibili.
Di fatto, le risposte fulminanti provengono ancora da quell’Oriente sabbioso e sapiente in cui quel bimbo di sette anni ebbe la fortuna di capire che da grande avrebbe voluto essere un poeta e un grande cavaliere.

Arte e Critica, n. 96, autunno – inverno 2021, pp. 53 – 55.

1. NOMÌ KAWUKI ASMÒ PIAOS BUT [Il mio passero da combattimento si chiamava Cipolla]. Cinquantacinque poesie di Matteo Boetti, Edizioni CollAge – Collection Storage, Todi, in collaborazione con Essegi, Ravenna, 2021, p.11.
2. Ivi, p.129.
3. Ivi, p.211.

Daniela Bigi
Daniela Bigi